Stefano Coppari, intervista

Intervistiamo Stefano Coppari, musicista e compositore pescarese marchigiano d'adozione, a ridosso dell'uscita del suo nuovo album da leader, "Eureka".
Stefano, è arrivato, come si dice in inglese, il tuo Eureka moment...
Sono molto contento di essere stato inserito in questa etichetta, l'Auand di Marco Valente, con l'album "Eureka". E' il mio primo album da leader, che esce il 13 maggio 2016,  in cui suono con i miei colleghi Claudio Filippini (al piano), Ludovico Carmenati (al contrabbasso),  Ananda Gari (alla batteria). Questa etichetta vanta tanto apprezzamento in Italia e non solo per le scelte fatte negli anni, sulle proposte, sulle scelte musicali che riguardano sia i giovani che i veterani, ma che abbiano sempre un approccio d’avanguardia e attento alla contemporaneità.
Come hai scritto i brani del disco?
Quando ho scritto questa musica, sono andato oltre il jazz, mi sono fatto influenzare anche dai generi con cui sono cresciuto. Da questo disco emergono -  me lo ha detto anche chi lo ha ascoltato - tutte le mie passioni musicali, dal blues al rock fino al jazz ovviamente.
Quali sono i tuoi riferimenti musicali?
Nel jazz i chitarristi che mi hanno influenzato, o meglio fatto orientare, sono sicuramente Kurt Rosenwinkel, Jonathan Kreisberg, Jim Hall e molti altri altri. In ogni caso non mi sono fatto influenzare solo dai chitarristi, anzi musicisti come Bill Evans, Brad Melhdau, Miles Nirvana, Pink Floyd, Radiohead….(la lista è lunga) sono quelli che ascolto di più.
Quindi è una specie di tuo ritratto tradotto in musica...
Sì in un certo senso è così. Mi piaceva rappresentare me stesso comunicando facilmente a più persone possibile. La soddisfazione per un artista secondo me è quella di trasmettere delle emozioni, delle sensazioni anche ai non addetti ai lavori… è molto gratificante ricevere complimenti da persone che non sono musicisti, ma semplici ascoltatori di musica, persone che non conoscono il linguaggio in modo analitico e razionale, ma che si lasciano trasportare soltanto dalla musica.
Sono tutti mie composizioni, oltre a una cover dei Depeche Mode, "Heaven". Avevo gia fatto altri dischi, come quello con Franco Cerri che conosci, "One, Two, Three, Quartet" (lo avevamo intervistato qui per questa bella collaborazione) e poi un disco con il sassofonista Antonangelo Giudice, il batterista americano John Arnold, il contrabbassista Amin Zarrinchang, intitolato “Escape" per Raitrade.
Chi suona con te in questo ultimo disco?
L’idea del gruppo è nato ascoltando Claudio Filippini, un pianista incredibile che mi ha colpito per come suona, per la sua sensibilità, per il suo feeling. L’ho contatto e gli ho fatto leggere un po'  della mia musica e si è subito sentito coinvolto. Per me ovviamente è stato un grande onore. Oltre a Filippini, Ananda Gari e Ludovico Carmenati, altri due grandi musicisti con cui ho il piacere di suonare spesso, ci sono due ospiti: Giacomo Uncini alla tromba e Emanuele Evangelista al fender Rhodes. Puoi sentire bene questo prezioso apporto esterno che cambia il sapore di alcuni brani del disco. Ho spessissimo suonato con questo quartetto, un po' meno con il sestetto al completo.
Ci sono state anteprime live del disco?
Sì, già state a Jesi e a Senigallia lo scorso marzo. Ora faremo un piccolo tour a fine giugno, partendo da Jesi il 20 giugno, per andare al Biella Jazz Club il 21, poi il Relais Marchese del Grillo il 23 per arrivare al locale “Pozzacci” a Porto Sant’Elpidio a Mare il 24.
Qualche esperienza particolare  ha segnato la nascita del disco?
Sicuramente una vacanza in Bosnia e Croazia di due anni fa. Nonostante questa vicinanza geografica - c'è solo il mar Adriatico che divide l'ex Jugoslavia dalle Marche, non sono molti chilometri, siamo a meno di un’ora di aereo - c'è una gran differenza con noi, nell'attitudine della gente. Voglio dire che i segni della guerra si vedono nell'architettura delle città, ma anche nella durezza delle persone. E questo ci ha colpito, quando dalla Croazia siamo usciti un po' dalla nostra rotta, venivamo da Sarajevo, e ci siamo persi nelle montagne della Bosnia per otto o nove ore. Lì nessuno di quelli che incontravamo parlava inglese, e non ci sapevano dar indicazioni. Abbiamo incontrato dei cartelli che segnalavano i campi minati ancora presenti... Abbiamo preso diverse strade, stava diventando notte. Eravamo  un po' in panico, finché abbiamo ritrovato la strada principale per Banja Luka e ci siamo orizzontati, fino a ritrovare la superstrada. Quando sono tornato mi sono messo a comporre musica di getto.
E allora come si fa a tradurre una sensazione e un ricordo così inquietante in musica?
Ho cercato di riprodurre questo senso di smarrimento nel primo brano del disco, "Banja Luka" appunto, che infatti ha un’ intro un po' tesa, inquieta e poco lineare, con un ostinato un pò ossessivo, si apre poi con un tema più chiaro, che man mano si rasserena. Questo, per me, rappresenta molto lo smarrimento che abbiamo provato. Poi la "B" del pezzo simboleggia la fine del "panico" e il ritorno in una dimensione geografica comprensibile, quella della città. Gli altri brani dell'album sono nati da idee diverse.
Sicuramente il primo pezzo è il più descrittivo di questo viaggio.
Facciamo un salto tematico. Quali sono per te i problemi attuali del fare musica come professione? Il web secondo te danneggia o aiuta il lavoro dei musicisti?
Sicuramente la domanda è molto maggiore all’offerta. Ci sono tante progettualità, tanti bravi musicisti e pochissimi locali per fare musica. Purtroppo è un problema culturale molto complesso e difficile da spiegare in poche righe ma la burocrazia, le tasse come siae ecc..lascia spesso i club abbandonati a loro stessi e a volte non basta la passione per andare avanti, per farti un’idea avevo una lista di jazz club italiani aggiornata, contattandoli per proporre il mio progetto abbiamo notato che tantissimi sono stati chiusi nell’ultimo anno. E’ una cosa molto triste.
Per quanto riguarda il web invece la polemica spesso è relativa alla distribuzione gratuita della propria musica su siti e app come spotify.
Ora, facendo musica jazz, quindi non prettamente commerciale, la vendita dei dischi è stata sempre relativa, con le dovute eccezioni, certo, tra chi vende di più chi vende di meno... Ma non credo in fondo che il problema principale di questo settore sia il web.
A me ha dato la possibilità di conoscere tanta musica, in questo streaming continuo, come i tanti dischi che non avrei avuto l'occasione di ascoltare o comprare.
Inoltre, come musicista, anche se non hai un riscontro economico immediato, hai un ritorno di visibilità e una maggiore semplicità nel far girare la propria musica.
In contrapposizione a questo flusso digitale, trovo interessante anche questa nuova rinascita del vinile, ma a volte soltanto di moda si tratta a mio avviso.
In ogni caso, vinile o meno, trovo molto positivo poter avere 1000 ore di musica sul telefono.
*Il teaser del nuovo disco in anteprima!

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