Raccontare Paolo del Vaglio, l'intervista all'illustratore Ciavola


Parliano del libro del fumettista, illusratore e docente ,Renato Ciavola, dedicato all'umorista grafico Paolo del Vaglio e intitolato Nacqui senza saperlo. Incontro con Paolo Del Vaglio, angelo dell’umorismo (Torino, Il pennino).  

Paolo del Vaglio (Napoli 5 luglio 1928- 5 settembre 2014) era insegnante e fu un cartoonist di lunghissima carriera: noto in Italia e all’estero soprattutto per il suo personaggio “Pigy”, definito a suo tempo “Il Charlie Brown mediterraneo”. Con Pigy e altri personaggi ha ricevuto vari premi nazionali e pubblicato su molte testate giornalistiche cattoliche fino agli ultimi giorni della sua vita terrena ("Famiglia Cristiana", “Avvenire", “Jesus", “Nigrizia", il "Bollettino Salesiano", RAI3 Campania…). Per sua volontà, una raccolta di tavole originali delle sue vignette e di tutti i giornali sui quali sono stati stampati i suoi lavori si trovano catalogati nella Biblioteca degli Autori del GSLG, all’interno della Biblioteca della Pontificia Università Salesiana a Roma.

Nel libro, Renato Ciavola, partendo dal racconto a ritroso dell’incontro dell’autore con l’illustratore a Napoli, ripercorre attraverso disegni e narrazioni l’infanzia di Del Vaglio, il suo rapporto con la satira (con o senza fede), la ricezione e la critica, avendo avuto la fortuna di attingere anche dalla sua autobiografia.  E allora abbiamo colto l’occasione per intervistarlo.

Renato Ciavola, perché hai scritto questo libro?

La fama di umorista sembra non essere di questo mondo, è spesso cosa rara. L’umorismo non è considerato “Arte” a tutti gli effetti come la letteratura tout court, o la pittura. Ma l’umorista analizza la società con un occhio particolare. Diceva il grande Giovanni Mosca che “…l’umorismo è una collinetta. Non è una montagna: chi sta in cima alla montagna è lontano dal mondo (…). Chi sta sulla collina, una collina piccola, appena un rialzo di terra, è nel mondo di tutti e vede un filino più lontano, può valutare quali sono le cose veramente importanti e quelle che importanti sembrano e non sono” (da Nacqui senza saperlo). In quest’ottica, un giornale che fa la scelta di pubblicare vignette umoristico-satiriche è un giornale intelligente, che dà spazio alla creatività come informazione, alla riflessione espressa con un ottica particolare che diversifica lo sguardo sul Mondo. So bene che essere umoristi oggi significa far parte di una nicchia. Essere umoristi “cattolici”, poi, come Paolo del Vaglio, allora…
E quando poi un autore del genere scompare? L’uomo è volubile, cambiano mode e gusti; ed è ingrato, non ringrazia mai abbastanza l’artista che gli ha dato momenti di gioia o di serenità, di riflessione e approfondimento, che gli ha trasmesso a volte valori etici e sociali. Dimentica subito. Ecco perché ho scritto.

Raccontaci il tuo Paolo del Vaglio. 

Del Vaglio, del quale ho firmato questa biografia-saggio attraverso le mie e le sue parole, era un umorista di vaglia. Fine, delicato, di pochi segni e di poche parole, dal linguaggio semplice ma immediato, a volte scomodo per le sue battute pungenti e profonde dette fra i risvolti degli abiti dei suoi piccoli-grandi personaggi: un teologo della battuta, potrebbe dirsi. Chi non sa cogliere l’ironia nelle cose di tutti i giorni, nei dialoghi tra due anziani sull’autobus, nei doppi sensi che scaturiscono dalla forma e dal contenuto dei significanti, non sa vivere. “Intelligenza e ironia sono sorelle di sangue”, diceva lo scrittore-pedagogista Jean Paul. E Paolo era un umorista particolare, raro, perché associava umorismo e fede. Così l’Autore si è inserito nel dialogo storico-sociale dell’Italia dal dopoguerra ad oggi, pubblicando su"Famiglia Cristiana", “Avvenire", “Jesus", “Nigrizia", il "Bollettino Salesiano”, "Il Messaggero di S.Antonio", tanti altri, e anche su giornali sportivi. Del Vaglio era famoso per il suo personaggio più importante, l’angioletto “Pigy” con il quale ha vinto premi internazionali importanti come il ”Dattero d’Oro” e il “Thomas Moore”, premio quest’ultimo quale miglior autore cattolico.
Nel 2010 accettai la proposta della mia associazione di promozione della lettura, (di cui anche l’Autore era membro e io sono vice presidente) GSLG-Gruppo di Servizio per la Letteratura Giovanile per scrivere un libro sulla attività dell’umorista napoletano, col quale intrattenevo rapporti di amicizia da qualche anno. Decisi di scrivere un libro sul suo modo di intendere la satira, sul suo modo di trasmettere una certa “verità” delle cose. L’Autore scomparve un anno fa, ma d’accordo con la moglie Bruna Majer, decidemmo di portare avanti il progetto.

Secondo te perché la conoscenza di Del Vaglio non è diffusa?

Come ho detto prima, la satira in Italia…”non ripaga”, nel senso che, dato lo scarso senso di autoironia del nostro popolo, l’autore di satira fa fatica ad essere compreso. Per cui i giornali non sono molto inclini a dedicare molto spazio a questo tipo di “giornalismo”, perché spesso di tratta di giornalismo vero e proprio. Inoltre del Vaglio fu autore (spiega molto bene il perché nel libro che ho scritto) che scelse deliberatamente, per esigenze personali, di non muoversi nell’atteggiamento culturale di base nostrano che proviene da un’ottica soprattutto laica. Se guardi bene, gli autori di satira più famosi appartengono tutti o quasi ad un area piuttosto laica.

Cosa insegna la satira? Come si può abituare i giovani a questo linguaggio?

La satira insegna a riflettere su tutto, non c’è argomento che non possa toccare, ma riflettere in modo ironico, scanzonato, senza dare giudizi. Il che non vuol dire essere superficiali, ma semplicemente guardare le cose un po’ più da lontano, spogliandole dagli orpelli con cui la politica, l’abitudine, il puritanesimo tendono a coprirle, a preservarle da occhi troppi indiscreti che potrebbero portare a scoperte di una verità a loro non gradita.
La satira si può insegnare? Difficile. La capacità di ironizzare è un talento, come saper suonare la chitarra. Però, la inserirei all’interno dell’insegnamento dell’Italiano nella scuola media, servirebbe ad aiutare i ragazzi a scoprirsi e a scoprire il mondo usando un linguaggio che è fatto di associazioni di idee e di immagini, e a guardare con un occhio diverso la realtà. Ma dove sta l’insegnante capace di farlo? Occorre un cartoonist.

Satira e credo religioso: cosa pensi dei fatti tragici di “Charlie Hebdo”?

Io non sono per la censura. Credo si possa fare satira su tutto in linea di massima, se cominciamo a mettere i paletti non si sa dove potremmo andare a finire… o tornare! Però, però, a me non piace fare satira su argomenti che riguardano la religione, perché toccano le sfere più private e profonde dell’uomo. Né, ritengo giusto sminuire figure religiose, siano uomini di culto che immagini divine. Quale bisogno c’è? Forse… è più facile! Ci sono tanti di quei problemi politico-sociali-culturali da analizzare e “scoperchiare” con la satira!
Conosco una strip di stampo religioso inglese che tratta sia Gesù che Maometto, ma lo fa in modo simpatico. Il nostro bravissimo, geniale, Altan ha scritto e disegnato negli anni Ottanta una ironica storia di San Francesco e contemporaneamente della Chiesa, ma in un modo così spassoso che una cosa rara. Così si può fare satira su argomenti religiosi. Ma occorre essere dotati di quelli che noi chiamiamo “attributi”. Purtroppo si sa che una grande percentuale degli esseri umani rasenta la mediocrità intellettuale, e certamente possiamo trovarli anche tra gli autori satirici.
Charlie Hebdo? Faceva e fa della brutta satira, anche come disegno. Trovo sciocco l’insistere con le loro invettive, anche pochi giorni prima di quello che è successo a Parigi avevano toppato di nuovo. Si sa che la stupidità umana non ha limiti, però… Qui non è questione di avere paura di qualcosa, è questione di buon senso. Ma si rendono conto che mettono in pericolo anche le vite degli altri, oltre che le loro?

*Per ordinare il libro: claudiacamicia@libero.it


Sara Bonfili


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