Beppe Fenoglio è il simbolo della passione per la scrittura, per l’impegno nella Resistenza, l’esempio di una vita spesa in coerenza con i propri ideali – la scrittura, la libertà, l’anticonformismo – che lo consumarono – fumo tosse malattia, come dice la sorella di Beppe, Marisa – fino a farlo spegnere a soli 41 anni, il 18 febbraio 1963, a Torino.
Combattuta la guerra partigiana sulle Langhe, conoscitore e traduttore degli scrittori e poeti inglesi, si rifiutò di seguire l’attività di famiglia, una macelleria, per – che pazzo! - scrivere.Ci ha regalato, nella sua breve carriera votata alla passione cieca per la letteratura, libri bellissimi divenuti classici come I ventitrè giorni della città di Alba, La malora, Primavera di bellezza, Un giorno di fuoco (postumo), Una questione privata, Il partigiano Johnny e La paga del sabato (tutti postumi).
La macchina da scrivere era il suo oggetto più prezioso, e il ticchettio dei tasti, la tosse e le lunghe boccate silenziose, ma riconoscibili, erano i rumori che segnalavano la sua presenza in casa. Tutto questo lo racconta Marisa, nello spettacolo teatrale, con Elena e Riccardo Zegna, andato in scena al teatro Pergolesi dal titolo Uno scrittore in famiglia, e tratto dal libro omonimo stampato dal centro studi Pietro Calamandrei.
Marisa, però, oltre ad essere la sorella minore del più famoso Fenoglio, è anche una scrittrice, premiata con il Premio Franco Enriquez 2015 per la drammaturgia. La lettura della motivazione e la consegna del premio, conferito nello scorso agosto a Sirolo, sono state fatte sul palco dal sindaco di Jesi Massimo Bacci.
In Uno scrittore in famiglia Beppe è al centro, perché raccoglie ben 5 degli 8 titoli della proposta teatrale: la faticosa via letteraria, la macchina da scrivere, Beppe fratello, fumo tosse malattia, Beppe se ne va.
Il lessico di Marisa Fenoglio rappresenta una discontinuità e una novità assoluta nell’odierna repubblica delle lettere.
L’arte del suo raccontare è nello scarto di significato, che regala un’emozione non preventivata, tra ciò che le parole hanno sempre voluto dire e la scoperta di un ammanco nella contabilità del discorso. La differenza viene a galla rompendo lo specchio del parlare condiviso e ragionevole, creando l’incidente semantico nelle pieghe del senso comune. Lo stile dell’artista nasce da una differenza di significato tra vissuto e parola quotidiana. Nel microincidente sociale del linguaggio si crea l’aneddoto: quella freschezza del narrare, che avvince il lettore prima, lo spettatore poi. L’apparente ingenuità è figlia dell’arte.
Marisa mette in scena la parola facendole recitare la propria condizione di estraneità. Con sapiente regia trasforma il vuoto dentro il linguaggio in suspence narrativa e azione drammatica. In Uno scrittore in famiglia, il linguaggio ingenuo, di ogni giorno, ha la funzione di sipario – un vero sipario di teatro - che impedisce di vedere e immaginare cosa c’è al di là della cortina di fumo delle sigarette del fratello scrittore, nel mondo della parola letteraria a cui Beppe lavora con alacrità notturna. Il tono estraneo nasce dal fatto che non c’è un vocabolario normale nemmeno per chiamare “lavoro” quello che lui fa con grande passione e fatica e che, in altre parole, si potrebbe dire “creazione”.
Il dramma della parola, che non è in eventi straordinari, ma nel vuoto del senso comune, collega l’opera di Marisa Fenoglio alla tradizione alta sia del teatro sociale europeo (Casa di bambola di Ibsen) sia al romanzo psicologico (Un esempio per tutti, Mrs. Dalloway della Woolf). Certamente si colloca agli antipodi della fabbrica di favole edificanti che fanno leva invece proprio sul senso comune, cioè sulla comunanza rassicurante tra cosa si dice e cosa si intende.
Nuova è la tecnica e la qualità del dialogo, che non indulge ai collegamenti allusivi tipici dello spot pubblicitario e del fotoromanzo televisivo. L’architettura degli episodi ha come unità di misura la battuta controtempo; rompe l’armonia addomesticata del pensiero, cogliendo d’anticipo lo spettatore, trascinato dal ritmo narrativo. E’ difficile dire se le opere di Marisa siano più romanzi o racconti, perché il tempo è il “rubato” della parola: la reazione chimica con cui Marisa Fenoglio trasforma la scrittura in micro-teatro.
Scrittrice controcorrente, Marisa Fenoglio sa che la letteratura serve a liberare le persone dai modelli linguistici banali. Il dono che lei fa è una boccata di aria fresca nell’attuale clima di perbenismo soffocante. Non è un caso che nella tessitura della trama lavori alla ricostruzione di un processo mentale sano, un modo non sdolcinato di articolare il discorso, che da sequenza narrativa diviene sequenza drammatica.
Marisa Fenoglio è nata a Alba e vive a Marburg, in Germania.
Scrittrice, drammaturga, si è laureata in Scienze naturali all'Università di Torino e nel 1957, subito dopo il matrimonio si è trasferita ad Allendorf (oggi Stadtallendorf), piccolo paese della regione Assia in Germania, al seguito del marito. In Germania ha tenuto corsi di italiano nella Volkhochschule di Marburg e nel 1995 ha esordito nella narrativa con Casa Fenoglio, cronaca famigliare pubblicata da Sellerio. Due anni dopo ha dato alle stampe, sempre per Sellerio, il romanzo autobiografico Vivere altrove, da cui è stato tratto l'omonimo spettacolo teatrale, messo in scena a Berlino nel 2007 e prodotto dalla compagnia Teatro Instabile Berlino.
Sono seguiti nel 2002 Mai senza una donna (Sellerio) e nel 2004 Viaggio privato (Araba Fenice). Autrice di racconti in lingua tedesca, alcuni dei quali pubblicati sull'antologia Marburger Almanach (Jonas Verlag, Marburg), e del dramma radiofonico "Helix Pomatia", trasmesso più volte dall'Hessischer Rundfunk.. Del maggio 2012 è la pubblicazione de Il ritorno impossibile per Nutrimenti di Roma.
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