Intervista al regista Fabrizio Ferraro


Intervista doppia con la collega Iwona Biskupska al regista Fabrizio Ferraro

Ogni tanto, noi due, pur condividendo tante passioni e giovando di un’intesa perfetta abbiamo modi diversi di percepire alcuni fenomeni, in particolare quelli artistici. Per esempio, per me (Iwona), esiste uno sguardo freddo del regista ed  esiste uno sguardo caldo. E poi, esiste anche quello tiepido, che, come l’acqua a temperatura ambiente, mi lascia senza particolari sensazioni.  Succede che mi confronto con lei, che è entusiasta e ci legge molto di più. Ciò è successo nell’incontro con il regista Fabrizio Ferraro.
Come potete immaginare sono delle discussioni interessanti e stimolanti che ogni tanto ci portano alla fonte, come in questo caso davanti al regista per fargli delle domande, per esplorare, nei limiti del possibile, la mente dietro un progetto cinematografico, per cambiare la prospettiva, per rivedere la propria posizione. Credo che questo tipo di incontri dia un valore aggiunto alla percezione dell’opera stessa. Non è il momento per perorare a favore del biografismo, ma almeno dobbiamo riconoscere l’importanza della personale visione e formazione dell’artista che insieme a fattori più o meno definiti plasmano un opera artistica. Sara in particolare si è interessata del documentario musicale “Quando dal cielo (Wenn Aus Dem Himmel) ", sui musicisti Paolo Fresu e Daniele Di Bonaventura, e ne è rimasta incantata.
Dunque, per non perdersi nei meandri delle reminiscenze delle nostre conversazioni vi invitiamo alla interessante lettura della intervista con F. F. , i cui film ci ha messe in disaccordo.
 - Fabrizio Ferraro -  BIO
Vive e lavora a Roma. Studi di Cinema e Filosofia del linguaggio. Ha eseguito servizi fotografici presso enti pubblici e privati, in Italia, Francia, Belgio, Stati Uniti, Giappone. Ha organizzato incontri e retrospettive cinematografiche ed ha diretto nel 2000 e 2001 la Mostra cinematografica internazionale di Terzo Cinema svoltasi al Filmstudio e al Palazzo delle Esposizioni di Roma. Nel 2006 ha pubblicato il libro “Breviario di Estetica Audiovisiva Amatoriale - natura, immagine, etica” per la casa editrice DeriveApprodi, il libro è stato adottato come testo di analisi e studio sulle nuove tendenze in alcune università italiane. E’ stato uno dei fondatori del gruppo amatoriale. Tra il 2006 e il 2008 ha realizzato con il gruppo amatoriale una tetralogia di film-studio sull’amatorialità, presentati in concorso al TorinoFilmFestival, al FID di Marseille, e presentati in altri festival. Dopo il lavoro sull’impersonale amatoriale ha realizzato il film “Je suis Simone (la condition ouvrière)” ha ricevuto una menzione speciale al 27esimo Torino Film Festival. L’ultimo film è "Wenn Aus Dem Immel” (2015), documentario sul viaggio musicale della registrazione di un disco speciale per i musicisti Paolo Fresu e Daniele Di Bonaventura, sostenuto da Fond. Marche Cinema Multimedia, Marche Film Commission, Comune di Fermo, Programma Media Unione Europea.
Filmografia 2006-2008 Tetralogia di film-studio sull’amatorialità. Le Variazioni del Signor Quodlibet / Suite in Amore / Malvisto Maldetto / Sopralluoghi all’Inferno 2009 Je suis Simone (la condition ouvrière) 2010 Piano sul Pianeta (malgrado tutto, coraggio Francesco!) 2011 Penultimo paesaggio(regia, sceneggiatura, montaggio) 2013 Quattro notti di uno straniero(regia, fotografia, montaggio) 2015 Quando dal Cielo - Wenn aus dem Himmel (regia, sceneggiatura, montaggio, soggetto)

Iwona & Fabrizio Ferraro 
I.: I suoi film precedenti sfuggivano a una definizione generica (non documentari, non fiction…). Come definirebbe il suo lavoro?
F.: Facciamo di tutto per non definirlo, per insediarci negli interstizi delle definizioni. Tutto quello che contiene e cerca di limitare, definire e circoscrivere, non sarà altro che un ulteriore confine alle possibilità della visione, ancora tutte da esplorare.
I.: Qual è il suo spettatore ideale?
F.: Una persona attiva, che voglia soprendersi e farsi sorprendere dalle cose del mondo, quindi un non spettatore.
I.: Il modo di rappresentazione dello spazio e del tempo richiama lo stile del cinema europeo, specialmente francese degli anni Cinquanta; allo stesso tempo per via dell’utilizzo delle lunghe sequenze dei personaggi in movimento e all’apparente inazione fa pensare al cinema indipendente degli anni Ottanta (es. Jim Jarmusch). Perché queste "storie-non storie”?
F.: Il discorso potrebbe farsi lungo, soprattutto sul significato delle storie e del racconto. Nel film che abbiamo realizzato è sempre presente quella che tu intendi come storia, minima e ampia, degli esseri umani, ma sviluppata in altre dimensioni, che non quelle del racconto scritto/orale… Ma ti assicuro che c’è molta più storia umana e di vita pulsante in questi film che in tutti i film romanzati, con intrighi e storie, articolate sul dato psicologico… Bisogna solo mettersi in ascolto di altre dimensioni e forme.
I.: Qual è la ragione di questa riflessione sul passaggio del tempo? Cosa pensa possa portare di nuovo?
F.: Risponderei con una domanda: "cosa vuol dire passaggio del tempo?” Non si tratta di passaggio del tempo (non ha nessun riscontro nell’esperienza estetica) ma della sua densità che è proprio un’altra cosa.
I.: Ci pare che questa visione abbia puramente un valore contemplativo… Però nell’ultimo film questa contemplazione si sposa, crediamo, a una riflessione sulla creazione musicale nel paesaggio. Paesaggi sonori… Natura che suona… Il paesaggio che riesce a restituire l’attesa e il ricordo della musica suonata, la presenza dell’uomo che con la sua creazione si fa parte dell’ambiente circostante, lo rispetta, lo descrive musicalmente, ne è influenzato. Ci spiega le ragioni profonde di “Quando dal cielo?”
F.: Non sono d’accordo con questa frase: "valore puramente contemplativo”. Secondo me è solo una cattiva abitudine quella di definire un’opera contemplativa solo perché si ha l’impressione che sia più astratta, non attiva e immediata.
Quello che pensi sia contemplativo in questi film ha in realtà una risposta immediata e di immensa azione, ma sotto altre vesti che non quelle della chiacchiera, consuetudine così amata in questo secolo.
Cerchiamo in questi film di vedere la cose per quelle che realmente sono, ripulite dalla chiacchiera di un discorso conforme al depistaggio attuale, dagli interessi umani agli interessi del capitale (finanziario).
Questo discorso riguarda anche il film da te citato, cioè vale ance quando cerchiamo di cogliere (ascoltare) una musica nel suo farsi e osserviamo un paesaggio che quella musica non solo la contiene ma a suo modo l’ha anche prodotta.

Sara & Fabrizio Ferraro:
S.: “Un certo uso dello sguardo” era il motto del fotografo emiliano Luigi Ghirri. Che riflessioni sorgono, adattandolo allo sguardo del regista?
F.: Sì, un certo uso dello sguardo… Per me lo sguardo non appartiene al cinema, ma è un discorso immenso, dovremmo ripercorrere tutta una storia che parta dalla prospettiva sino a giungere alla produzione meccanica dell’immagine riprodotta.
Per fare una sintesi veloce posso dirti che, con una frase ovviamente molto sintetica e quindi anche molto equivocabile, il cinema vive di relazioni e lo sguardo, nel porre un oggetto dinanzi a sé, non potrà che negare ogni forma di relazione comune, non riuscendo e non potendo stare dentro e fuori alle cose contemporaneamente.
S.: Perché la predominanza del bianco e nero nei suoi film?
F.: Ha una maggiore capacità di astrazione, riesce anno essere ancorato ai cliché del proprio tempo, ma dipende comunque sempre dalla natura del film.
S.: Ci sono annotazioni particolari che Paolo Fresu e Daniele Di Bonaventura hanno fatto riguardo il suo modo di rappresentare la loro musica in immagini? Un elemento che hanno apprezzato particolarmente?
F.: Da musicisti hanno apprezzato il lavoro compositivo del film, l’elogio del processo e della relazione per costituire un paesaggio sonoro della visione, mettersi in ascolto delle cose. Un vero e proprio inno della musica (in questo caso la loro musica) e del suono (della visione).
intervista di Iwona Biskupska & Sara Bonfili

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