L'ultima pioggia dell'anno



di Giulio Cioffi

Sui gradini della scalinata ottocentesca che portava al parco c'erano i resti del pranzo di una coppia di marocchini, qualche pezzo di pollo con tracce di maionese arrotolato nel nylon che lo conteneva, una lattina di sprite piena ancora per un quarto, delle patate, piccole, flosce, oramai fredde. Aveva pestato la vaschetta d'alluminio che le contenevano e le poche rimaste erano finite sul marmo sporco; chinò la schiena per afferrare con le grosse dita nerastre quelle rimaste nel contenitore e le portò alla bocca. Poi rovistò nell'involucro di nylon per cavar fuori i pezzetti di pollo bagnato di maionese, ne morse un paio, dei pezzetti più piccoli restarono aggrovigliati alla barba vicino agli angoli della bocca, mentre la parte che aveva trovato la via della lingua fu deglutita provocando il movimento di un gigantesco pomo d'adamo sotto la peluria grigiastra del mento.
Si rialzò e la sua massa robusta tremò e traballò per ritrovare la posizione eretta come un tronco di quercia sotto i colpi d' un'accetta. Fissò lo sguardo bluastro con aria seria sul piazzale dove terminavano in basso le scale, poi si mosse lentamente per scendere.
La città frenetica si muoveva sotto di lui. Su corso indipendenza le macchine correvano come cani sciolti verso i semafori accesi, poi si chiudevano progressivamente come le spire di un lungo serpente di metallo, comprimendosi le une sulle altre e rombando i loro gas nell'aria circostante impazienti quando la luce rossa le obbligava allo stop. Sul piazzale accanto alla strada le bancarelle dei libri usati erano spente e sole sotto la grande struttura bianca che le proteggeva; poco più in là, dentro la scura fessura lasciata libera dai quotidiani, i dvd e le riviste impilati sugli espositori di metallo scuoteva le spalle infreddolito e nervoso l'edicolante intento a controllare gli ordini con la biro in mano. Dei rivoli di acqua piovana e piscio segnavano il selciato accanto alla grande porta medioevale che era stata di accesso alla città, mentre un gruppo di ragazzi rappava sulla musica di un cellulare appoggiato su uno zaino contro la volta della porta per amplificarne il volume.
Il grosso uomo scese l'ultimo scalino dell'ampia scalinata bianca che dava sul corso, poi si fermò di nuovo. Era molto alto, quasi un metro e novanta, e di struttura robusta, ma le energie in lui sembravano condensarsi a momenti in piccole porzioni del corpo, lo stretto necessario a concedergli un lento e pesante movimento. Di fronte a lui accanto alla strada da una bancarella bianca un uomo magro dalla faccia pallida lasciava volantini insieme a una suora sulla prossima fine del mondo e invitava i passanti a discutere della verità e dell'amore di Cristo. I ragazzi che passavano li guardavano sorridendo con malizia, una coppia beveva il succo di arancia offerto e accondiscendeva con la giovane suora sull'egoismo di una società del denaro e sulla forza rigeneratrice della vera compassione. Aveva iniziato a scendere una leggera pioggia che obbligò il gruppetto di conversatori a ripararsi sotto gli ombrelli e i due predicatori a rassettare con sveltezza il materiale esposto sulla bancarella per evitare che si rovinasse. Era diventato un umido e freddo pomeriggio di dicembre.
Ci fu un crepitio improvviso nell'aria al di sopra della strada, e uno dei cavi elettrici che si lanciavano alti sopra i tetti dei bus si staccò cadendo come una liana sfranta sulle pozze create dalla pioggia sull'asfalto. Pioveva sull'ultimo giorno dell'anno e sulle macchine in coda al semaforo e sulla grande vuota tensostruttura che aspettava al buio futuri nuovi visitatori, e sul gigante perduto, barcollante ai piedi della scalinata.
I mezzi vicini all'incidente si allargarono a formare un arco e il traffico si paralizzò in quel tratto. Degli studenti in bici si fermarono a guardare.
Il grosso uomo dalla barba unta camminava lontano dalla scena verso i portici della via, attraversando il corso in un caldo e maleodorante pullover su cui cadevano lunghi capelli grigi, pieni di riccioli sull'alta fronte rugata. E da sotto profondi occhi blu, dalle labbra grandi e oleose filava fuori, con voce lieve e sottile, un motivetto che sibilava verso i passanti illuminati dalle vetrine: “Oh e io ti vedo là con una rosa in bocca, un altro esile ladro vagabondo...”.

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